La piazza organizzata da Michele Serra continua far parlare di sé, ma non so se nel modo giusto.
Nei giorni immediatamente seguenti alla “piazza per l’Europa” auspicavo (come faccio in parte tutt’ora) che quello fosse il primo – seppur confuso – passo di un dibattito franco e plurale, unico modo per iniziare a concepire (e piano piano a concretizzare) un’Europa più unita. Speravo che a Piazza del Popolo stesse iniziando una nuova agorà, spazio libero di confronto tra diverse idee di una nuova Europa nonché dimensione di mediazione e concepimento (certo travagliato e non scontato) di un progetto prevalente per questa nuova Unione, un progetto elaborato da una discussione accesa ma civile e spontanea, e non piombato dall’alto della distante tecnocrazia che, tutt’oggi incarna l’Unione Europea. Certo il percorso sarebbe stato lungo, e anche la (molto difficile) concordia dell’opinione pubblica italiana nel discutere questi grandi temi avrebbe colmato una frazione risibile del popolo europeo, ma era un buon punto di partenza.
Queste mie speranze erano, però, come scrivevo, minate da un latente atteggiamento esclusivo della piazza di Serra (che pure è riuscito a ottenere una certa pluralità pacifica di posizioni) nei confronti della attuale destra di governo.
Sebbene non sia stato apertamente cercato (e di questo sono contento), lo scivolamento verso un percepito utilizzo della piazza “per fare opposizione” era molto facile, e così infatti è avvenuto. Dalla presenza di intellettuali e artisti quasi esclusivamente di un certo orientamento politico fino al raggruppamento di partiti di centro-centrosinistra, era facile notare che in Piazza del Popolo sabato c’era una parte degli italiani, una fazione. E per costruire, anche concettualmente, qualcosa di grande come una Nuova Europa non basta una fazione. Il coraggio e lo scandalo di invitare anche la destra più volenterosa a questa manifestazione era necessario per far sì che quella piazza fosse un punto di partenza per questo difficile ed epocale percorso.
E invece la mancanza di questo coraggio, secondo me, ha giocato un ruolo importante nel disastroso discorso che ieri il premier Meloni ha tenuto in Parlamento e nelle altrettanto disastrose reazioni scomposte dell’opposizione.
Le recriminazioni, le vuote parole a effetto e gli schiamazzi erano il boato dell’esplosione di quelle mine che infestavano la fiducia in un dibattito all’altezza del momento storico.
Meloni, secondo me anche in risposta alla chiusura della piazza alla sua parte politica, esacerba il suo atteggiamento di chiusura estrapolando (e strumentalizzando retoricamente) alcuni estratti a effetto del Manifesto di Ventotene, utilizzandoli per denigrare l’idea di Europa che ne scaturisce. Questa provocazione è immediatamente raccolta dall’opposizione che reagisce in modo roboante costringendo alla sospensione della seduta.
Ripresa la discussione, gli interventi si focalizzano sull’oltraggio commesso da Meloni nei confronti di quello che (per quanto, condivido, sia importantissimo) viene indebitamente trattato come un “Testo Sacro”. <<Si inginocchi la Presidente del Consiglio davanti a questi uomini e queste donne! Altro che dileggiarli. Vergogna, vergogna, vergogna!>> tuona l’onorevole Fornaro dai banchi dell’opposizione.
E da giorni siamo circondati da discussioni sulla grandezza o anacronismo del Manifesto di Ventotene, su quello che è percepito come un coming out missino del Presidente del Consiglio attraverso le parole: <<questa non è la mia Europa>> e sul sempiterno tema del fascismo e dell’anti-fascismo.
Per quanto questi argomenti siano importanti e interessanti, presi a sé e discussi adeguatamente, il modo in cui sono strumentalizzati politicamente e (soprattutto) il momento in cui abbiamo deciso di portarli al centro della discussione imprimono un enorme danno alla nostra capacità di comprensione e di risposta non solo ai grandi progetti futuri, come una Nuova Europa, ma anche – e soprattutto – alle importanti sfide presenti, come il piano riarmo europeo e il posizionamento internazionale del nostro Paese.
Dato che le posizioni di Meloni sono ambigue o (parlo per me) del tutto irricevibili (il “Mi chiedono se sto con gli Stati Uniti o con l’Europa. Io sto con l’Italia!” non si poteva sentire), non mi stupirei se il nostro furbissimo Presidente non abbia utilizzato il sacrilegio contro il Manifesto di Ventotene come un’esca da gettare davanti alle opposizioni e all’opinione pubblica come diversivo dalle questioni davvero importanti e dal suo modo di gestirle. E noi, da bravi allocchi, ci siamo gettati anima e corpo su quest’esca, forse contenti di avere un oggetto per azzuffarci in modo sterile, un ulteriore pretesto per inquinare il dibattito sull’Europa e far coincidere la linea che separa europeisti da anti-europeisti esattamente con la linea che separa sinistra e destra, “anti-fascisti” e “fascisti”. Siamo, forse, contenti di avere la possibilità di prendere parte a questa baruffa, perché tutto questo baccano sovrasta (e ci permette di non sentire) la chiamata della Storia.
Intanto la Storia chiama e l’Italia non risponde.
Lascia un commento